CURIOSITA'

Non solo calorie: come stress, ormoni e mitocondri bloccano la perdita di peso
Molte persone seguono la dieta alla lettera, si allenano con costanza, ma l'ago della bilancia rimane ostinatamente fermo. Se la formula "mangia meno, muoviti di più" non funziona, non è quasi mai una questione di pigrizia o scarsa disciplina. La causa è spesso biologica e ha un nome preciso: resistenza alla perdita di peso.
Non si tratta di un semplice stallo, ma di un meccanismo di difesa con cui il corpo protegge attivamente le sue riserve di grasso.

Quando il corpo si mette sulla difensiva
Il nostro organismo è evolutivamente programmato per sopravvivere alle carestie, non per adattarsi agli ideali estetici moderni. Quando percepisce un deficit calorico prolungato, può attivare degli "interruttori di sopravvivenza" che sabotano i nostri sforzi. Tra questi:

  • Rallentamento del metabolismo (termogenesi adattativa).
  • Alterazione degli ormoni che regolano fame e sazietà.
  • Priorità all'accumulo di energia piuttosto che al suo consumo.

L'idea che il corpo sia una semplice calcolatrice di "calorie in entrata e calorie in uscita" è superata. È un sistema di sopravvivenza dinamico e complesso. Trattare il problema come una semplice equazione matematica spesso non basta.

Due "blocchi" metabolici comuni ma trascurati
Secondo la medicina sistemica, esistono numerosi fattori nascosti che possono bloccare il metabolismo. Tra i più comuni:

  1. Confusione nei segnali ormonali: Due ormoni chiave sono la leptina (il segnale di sazietà) e il cortisolo (l'ormone dello stress).
  • Nella resistenza alla leptina, il cervello diventa "sordo" al messaggio di sazietà, comportandosi come se fosse costantemente affamato, anche in presenza di abbondanti riserve di grasso.
  • Lo stress cronico mantiene il cortisolo alto, spingendo il corpo ad accumulare grasso (specialmente a livello addominale) e a consumare massa muscolare.
  1. Cellule in "modalità risparmio energetico": I nostri mitocondri sono le piccole centrali energetiche delle cellule, responsabili di convertire il cibo in energia. Quando la loro funzione rallenta a causa di infiammazione, stress ossidativo o carenze nutrizionali, la nostra capacità di bruciare grassi crolla. L'energia generale diminuisce e gli allenamenti diventano molto più faticosi.

 

Un cambio di prospettiva: guardare oltre le calorie
La resistenza alla perdita di peso è spesso il risultato non di un singolo problema, ma di una combinazione di piccoli squilibri. Un approccio sistemico non si limita a contare le calorie, ma indaga sulle cause profonde che bloccano il sistema, ponendo domande diverse e analizzando indicatori più specifici:

  • Come funziona il sistema digestivo? C'è infiammazione nascosta?
  • I ritmi del cortisolo durante la giornata sono corretti?
  • Ci sono carenze di nutrienti essenziali per i mitocondri?
  • L'esposizione a tossine ambientali sta interferendo con i segnali ormonali?
  • Il sonno?

 

Il messaggio da portare a casa
Se la bilancia non scende nonostante i tuoi sforzi, non sei tu ad aver fallito, ma probabilmente l'approccio che stai usando. La resistenza alla perdita di peso non è una condanna, ma un messaggio che il corpo invia: ci sono squilibri più profondi da risolvere.
La soluzione non è insistere con restrizioni sempre più severe, ma investigare e correggere le disfunzioni sottostanti. Una volta ripristinata la salute ormonale, cellulare e intestinale, la perdita di peso smette di essere una battaglia estenuante e diventa la naturale conseguenza di un corpo che torna a funzionare in modo ottimale.

Riferimenti:
Hulmi, Juha J., et al. "The effects of intensive weight reduction on body composition and serum hormones in female fitness competitors." Frontiers in physiology 7 (2017): 242757.
Ylli, D., S. Sidhu, and T. Parikh. "Endocrine Changes in Obesity.[Updated 2022 Sep 6]." Endotext [Internet]. South Dartmouth (MA): MDText. com, Inc (2000).
Bournat, Juan C., and Chester W. Brown. "Mitochondrial dysfunction in obesity." Current Opinion in Endocrinology, Diabetes and Obesity 17.5 (2010): 446-452.
Cunarro, Juan, et al. "Hypothalamic mitochondrial dysfunction as a target in obesity and metabolic disease." Frontiers in endocrinology 9 (2018): 283.
Wang, Jinling, et al. "Effects of mitochondrial dynamics in the pathophysiology of obesity." Frontiers in Bioscience-Landmark 27.3 (2022): 107.

Oggi esiste la possibilità di effettuare un semplice test che consente di evidenziare eventuali intolleranze a diverse componenti alimentari. Tale valutazione può rappresentare un utile strumento per migliorare il proprio approccio dietetico, soprattutto in presenza di alcuni fastidiosi sintomi. E' possibile rilevare, a livello genetico:

  • la predisposizione alla celiachia
  • l'intolleranza al lattosio
  • l'intolleranza al fruttosio
  • la sensibilità al nichel
  • la sensibilità ai solfiti
  • la sensibilità alla caffeina
  • la sensibilità all'alcol

Se avete bisogno di un consiglio in merito a questo approccio, finalizzato a migliorare la vostra alimentazione, mi potete contattare.

La cura dell’apparato fonatorio e l’igiene vocale sono molto importanti per preservare la salute e la qualità della voce. La corretta alimentazione è essenziale per la salute e la performance dei cantanti: mangiare i cibi giusti e mantenersi in forma può aiutare a cantare bene e con gioia, prevenire problemi vocali, e garantire che il corpo abbia l’energia necessaria per sostenere prestazioni di lunga durata.

IDRATAZIONE. Quando si canta, le corde vocali lavorano intensamente e le loro mucose richiedono una costante idratazione per funzionare al meglio. Bere sufficiente acqua ogni giorno è importante per mantenere le corde vocali idratate e lubrificate. Buona e sana abitudine è quindi quella di bere molta acqua preferibilmente a temperatura ambiente e mantenersi sempre idratati. Possono essere anche utili tisane a base di erisimo, timo e liquirizia (lenitive e protettive) e zenzero (antibatterico), eventualmente arricchite con un cucchiaino di miele. Attenzione però a bevande e cibi che disidratano: tè, caffè, bibite zuccherate, energy drink, alcolici, cibi salati. Evitare anche cibi e bevande troppo freddi o troppo caldi: il caldo tende a disidratare le mucose mentre il freddo rischia di anestetizzarle. Importante, prima di una esibizione, bere acqua naturale, non gassata, a temperatura ambiente.

DIGESTIONE. Evitare anche i cibi che provocano il reflusso gastro-esofageo o che rallentano la digestione: pomodoro, cioccolato, agrumi, cipolla e aglio, spezie e cibi speziati, cibi piccanti, menta, caffè, alimenti troppo grassi o troppo elaborati, cibi fritti, affettati e insaccati.

FRUTTA e VERDURA. Sono alimenti preziosi, ricchi di sali minerali, vitamine, acqua, fibre ed antiossidanti, ma occorre prestare attenzione ai frutti acidi, come gli agrumi e i pomodori, che possono aumentare il reflusso. Sono invece molto utili zucca, carote, patate dolci, albicocche, meloni, ricchi di beta-carotene,  protettivo per la salute delle mucose.

CARNE, PESCE, UOVA. Privilegiare il pesce (soprattutto azzurro) e la carne bianca, con cotture leggere: sono fonti di proteine nobili, digeribili e con un ottimo potere saziante. Il pesce (meglio se azzurro) è un alimento saziante e nutriente, ricco di omega-3 utili anche per il benessere del sistema nervoso. Le  uova sono fonte di proteine nobili e vitamina A, protettiva per la mucosa delle vie respiratorie.

LEGUMI. Preferire i decorticati, che ci permettono di fare il carico di energia ma senza correre il rischio di fermentazione e gonfiore, che altrimenti oltre al disagio potrebbero gravare sul diaframma non consentendogli di ottenere la massima espansione.

CEREALI INTEGRALI. Utili nella gestione del senso di sazietà sul lungo termine, ricchi di fibre e micronutrienti utili per la salute in generale.

LATTICINI. Tendono ad aumentare la produzione di muco, causare gonfiore addominale, e provocare reflusso. E’ utile quindi evitarli in prossimità delle esibizioni per evitare disagio e scomodità nella produzione vocale.

FRUTTA A GUSCIO E SEMI. Sono sazianti e rappresentano un'ottima fonte di energia, fibre e micronutrienti, ma in alcuni casi possono dare reflusso o gonfiore addominale.

DOLCI E ZUCCHERI SEMPLICI. Da evitare, poiché forniscono una sensazione di energia appena assunti ma dopo poco tempo causano una ipoglicemia reattiva, con conseguente sensazione di fiacca e stanchezza mentale.

MIELE. Emolliente, antibatterico e antinfiammatorio, ricco di vitamine e minerali, il miele è buon alleato per la gola soprattutto durante la stagione invernale, meglio se assunto la sera prima di riposare.

BIBITE GASSATE. Possono causare gonfiore gastrointestinale, con rischio di eruttazioni e disagio respiratorio.

CIBI PICCANTI. Possono essere irritanti per le mucose.

ALCOL. L’alcol, che è una sostanza tossica, per quanto legato all'immaginario della rock star, rischia di rendere la voce roca e meno "limpida". Infatti causa reflusso e disidratazione, è irritante per le mucose, e può alterare i riflessi, non permettendo quindi il controllo dello strumento-voce in maniera corretta.

CARAMELLE BALSAMICHE. Evitarle, in particolare la menta: non hanno effetti benefici sull’apparato fonatorio, ma al contrario rischiano di avere un effetto irritante ed anestetizzante.

LIQUIRIZIA. Ha un effetto definito demulcente, formando uno strato protettivo attorno ai tessuti della gola in grado di prevenire infiammazioni alla mucosa. Addolcisce le corde vocali, aumentando la flessibilità della voce.

INFUSO DI ERISIMO. L’erisimo, o Sisymbrium officinale, nota come “erba del cantore”, è apprezzata per le sue proprietà antinfiammatorie sulla gola sin dall’antichità come rimedio per i disturbi delle vie respiratorie e afonie (il suo nome deriva dal greco antico e significa “io salvo il canto”). Ha un’azione emolliente e lenitiva sulla funzionalità della mucosa orofaringea e sul tono della voce. Ha proprietà antinfiammatorie, antiirritative, antispastiche ed espettoranti delle parti aeree, ed è utile anche in caso di laringite, faringite, tosse, raucedine, afonia e asma.

QUANTO E QUANDO MANGIARE PRIMA DI CANTARE? I pasti troppo abbondanti possono essere causa di lenta digestione e quindi possono rendere difficile cantare. Meglio quindi mangiare almeno un paio d’ore prima della performance, scegliendo un pasto a base di carboidrati complessi piuttosto che a base di proteine, che impiegano più tempo ad essere digerite. Evitare di saltare uno o addirittura due pasti prima di un concerto: può capitare a causa dello stress, ma sarebbe sempre meglio evitare in modo da arrivare al fatidico momento sul palco carichi di energia e di buon umore.

FUMO. I danni provocati dal fumo sono molteplici e interessano vari apparati e organi del nostro corpo. Oltre ai ben noti effetti cancerogeni, si potrebbero sommare anche alterazioni alla voce e danni estetici (gengive bianche, ingiallimento dei denti, invecchiamento della pelle).

RIPOSO NOTTURNO. La mancanza di sonno può causare voce bassa, alterazione delle corde vocali, problemi di infiammazione o perdita della voce. La privazione del sonno può rendere più difficile controllare il respiro e cantare con potenza e precisione. Al contrario, un riposo ottimale migliora la capacità polmonare, la saturazione dell’ossigeno nel sangue, il funzionamento cardiovascolare e l’attenzione, garantendo una migliore performance.

FORMA FISICA. Il sovrappeso e l’obesità, soprattutto addominale, possono influire negativamente sulla fonazione, con un impatto almeno su quattro categorie di fattori anatomofunzionali correlati alla qualità della voce: sulla morfologia del vocal tract, sulla capacità respiratoria, sul bilancio degli ormoni sessuali e sulla comparsa o aggravamento del reflusso gastroesofageo. Il vocal tract è un bersaglio per il deposito di grasso nei soggetti obesi e un incremento nell’indice di massa corporea provoca un incremento nella concentrazione di tessuto adiposo nel tessuto faringeo. Soggetti obesi sono soggetti a dispnea e alterazioni nella funzione polmonare anche in assenza di malattie respiratorie. L’obesità è correlata fortemente agli ormoni sessuali, con diminuzione del testosterone circolante e aumento di sintesi estrogenica. L’obesità viscerale determina la comparsa o il peggioramento del reflusso gastro-esofageo.

Prendersi buona cura del proprio corpo (e del proprio spirito) significa prendersi buona cura della propria voce. Ricordiamo però che questo include non solo l’alimentazione, ma anche uno stile di vita salutare e gratificante: igiene del sonno, gestione dello stress, movimento fisico, cura della propria spiritualità, arricchimento culturale e relazioni interpersonali.


CHE COS’E’ IL MICROBIOTA INTESTINALE
Il microbiota intestinale è per definizione l’insieme delle migliaia di miliardi di microrganismi che risiede nel nostro intestino e che vive in simbiosi con l’organismo umano, e rappresenta uno degli ecosistemi più ricchi, complessi e diversificati che si possono trovare sul nostro pianeta. Si stima che il patrimonio genetico dei batteri che risiedono nel nostro intestino contenga almeno 150
volte più geni rispetto a quello umano. La presenza di questi batteri nel tratto gastrointestinale contribuisce a preservare la nostra salute esercitando essenziali funzioni fisiologiche e metaboliche che altrimenti il nostro organismo non sarebbe in grado di svolgere. Parallelamente, questi microrganismi hanno trovato nel tratto intestinale un habitat perfetto per la loro crescita, dove la
temperatura viene mantenuta costante (37°C), la quantità di ossigeno è limitata e l’approvvigionamento di nutrienti è continuo.

QUALI SONO LE FUNZIONI DEL NOSTRO MICROBIOTA INTESTINALE
Le funzioni fisiologiche metaboliche svolte dai batteri intestinali sono diverse e influenzano diversi aspetti della fisiologia umana. Questi microrganismi infatti contribuiscono a:
- Degradare nutrienti introdotti con la dieta che sarebbero altrimenti indigeribili per l’essere umano, come molti polisaccaridi complessi (fibre) di origine vegetale;
- Produrre molecole importanti per la nostra salute, come alcuni amminoacidi e vitamine per noi essenziali;
- Mantenere l’equilibrio metabolico e l’omeostasi energetica, contribuendo a prevenire disturbi di tipo metabolico, come l’obesità o il diabete di tipo 2;
- Educare e contribuire al corretto sviluppo e funzionamento del sistema immunitario, soprattutto nelle prime fasi che seguono la nascita, ma anche durante l’intera vita adulta;
- Esercitare un effetto barriera, contrastando l’invasione da parte di altri batteri patogeni;
- Proteggere la salute e l’integrità della parete intestinale, producendo nutrienti e molecole antinfiammatorie per le cellule dell’epitelio intestinale;
- Contribuire alla degradazione di xenobiotici, ovvero composti tossici di origine ambientale che possono raggiungere il nostro intestino;
- Contribuire alla modulazione positiva delle funzioni emotive e cognitive, producendo molecole in grado di influenzare la funzionalità del sistema nervoso centrale;
- Contribuire all’equilibrio ormonale, producendo molecole in grado di influenzare la funzionalità di organi endocrini.

COME SI COSTRUISCE IL MICROBIOTA INTESTINALE
Il primo grande contatto che abbiamo con i microrganismi avviene durante il parto. Numerosi studi dimostrato come ci sia differenza tra il microbiota che si insedia in bambini nati di parto vaginale e quelli nati di parto cesareo, e queste differenze lasciano una “firma microbica” che può durare tutta la vita. Oltre al parto, anche l’alimentazione gioca un ruolo fondamentale: è stato dimostrato infatti che la composizione batterica che deriva dall’allattamento al seno differisca da quella che deriva dall’assunzione di latte in formula. Infine, le terapie farmacologiche (in particolare quelle antibiotiche) possono avere un impatto molto profondo. Con l’inizio dello svezzamento e l’introduzione di cibi solidi, il microbiota cambia profondamente e si avvia verso una configurazione che si assesta definitivamente intorno ai 2-3 anni e rimane relativamente stabile per tutta la vita adulta.

COME VARIA IL NOSTRO MICROBIOTA INTESTINALE
La composizione del microbiota intestinale è una caratteristica individuale e varia di giorno in giorno in risposta a piccole variazioni nel nostro stile di vita, nelle nostre condizioni fisiologiche o patologiche e, soprattutto, nella nostra dieta. Nel momento in cui uno o più gruppi batterici proliferano o diminuiscono eccessivamente, il microbiota può entrare in uno stato di disbiosi, che può essere temporanea (dovuta ad esempio ad una cura antibiotica, ad un evento di gastroenterite o ad un viaggio) o protratta nel tempo (dovuta ad esempio ad una patologia cronica, ad una prolungata condizione di stress psico- fisico o ad abitudini alimentari non corrette). La disbiosi genera una condizione infiammatoria che tende ad autoalimentarsi, dovuta alla proliferazione di microrganismi che producono molecole in grado di variare le condizioni intestinali (ad esempio variando il pH) e generando un ambiente favorevole alla loro proliferazione e al contempo ostile per la crescita dei microrganismi “buoni”.

PERCHÉ CONOSCERE LA COMPOSIZIONE DEL MICROBIOTA?
Un microbiota dal profilo sano, o eubiotico, contribuisce a proteggerci dall’instaurarsi o aggravarsi di diverse patologie (obesità, diabete di tipo II, sindrome metabolica, malattie infiammatorie intestinali, diverticolite, cancro del colon-retto, artrite reumatoide e allergie) grazie alla sua azione modulatrice e regolatrice esercitata sulle nostre funzioni metaboliche e immunitarie. Diversamente, un’alterata composizione dell’ecosistema (disbiosi) può contribuire all’insorgenza o al consolidarsi di tali patologie. Anche disturbi ricorrenti di lieve o moderata entità (coliti episodiche, diarree ricorrenti, stipsi, flatulenza, difficoltà digestive e disturbi uro- ginecologici) possono essere aggravati o causati da un microbiota intestinale dalla composizione non equilibrata. Un microbiota dal profilo sano costituisce inoltre un requisito essenziale per il successo di terapie e strategie preventive, sia in ambito nutrizionale (ad esempio, regimi dietetici mirati alla perdita di peso o alla prevenzione del diabete) che farmacologico (assunzione di farmaci e integratori, il cui assorbimento a livello intestinale può essere influenzato dalla composizione del microbiota intestinale), consentendo il mantenimento o il completo recupero dello stato di salute e benessere. Conoscere la composizione del nostro microbiota, confrontandola con gli intervalli tipici di un profilo sano, significa quindi avere un nuovo strumento conoscitivo che ci consente di preservare o migliorare lo stato di salute del microbiota e, con esso, lo stato di salute generale dell’organismo. Oltre alla composizione, oggi sappiamo con certezza che anche il grado di biodiversità rappresenta una delle caratteristiche fondamentali di un microbiota sano. La biodiversità altro non è che la quantità e la diversificazione dei microrganismi presenti nel microbiota. Maggiore è il grado di biodiversità, maggiore sarà la capacità del microbiota intestinale di rispondere a stimoli derivanti dall’esterno, come variazioni nella dieta, terapie farmacologiche e condizioni di stress dell’organismo.

QUANDO FARE L’ANALISI DEL MICROBIOTA INTESTINALE?
Fare l'analisi del microbiota intestinale può essere utile in diverse condizioni:
- Per il proprio benessere, perché un profilo sano del microbiota intestinale migliora la nostra salute;
- Per la prevenzione di patologie intestinali (malattie infiammatorie intestinali, sindrome del colon irritabile, cancro del colon-retto, diverticolite) o sistemiche (obesità, diabete, sindrome metabolica, allergie), in situazioni di rischio e ogni volta che una strategia nutrizionale e/o farmaceutica è usata, per ristabilire o mantenere un profilo sano del microbiota;
- Durante l’insorgere e il persistere di sintomi intestinali di lieve o media entità, come coliti episodiche, diarree ricorrenti, stipsi, flatulenza e difficoltà intestinali, al fine di valutare il coinvolgimento del microbiota intestinale per sviluppare approcci terapeutici di successo;
- In condizioni di sovrappeso o obesità, per integrare le strategie nutrizionali per la perdita di peso e il conseguente mantenimento del peso-forma;
- In fasi cruciali della vita umana, come l’infanzia e l’invecchiamento, durante le quali il mantenimento di un profilo sano del microbiota può contribuire al corretto sviluppo del sistema immunitario, alla prevenzione di allergie, di obesità e diabete, nonché a limitare gli effetti dell’immunosenescenza e degli stati infiammatori tipici dell’invecchiamento;
- Per le donne in gravidanza e in allattamento, ovvero quando il mantenimento di un profilo microbico sano è importante non solo per il proprio benessere ma anche per favorire la costruzione di un microbiota equilibrato nel neonato;
- Durante l’insorgere della menopausa, quando il mantenimento di un profilo equilibrato del microbiota è d’aiuto per affrontare al meglio i grandi cambiamenti metabolici e fisiologici;
- Durante l’insorgere o il ricorrere di disturbi del tratto uro-genitale, allo scopo di apportare modifiche alla dieta che possano contribuire alla risoluzione di infezioni urinarie (cistiti, uretriti) o dell’apparato genitale (vaginiti, infezioni da Candida), ed evitare le recidive;
- In condizione di salute, per progettare approcci dietetici personalizzati come ad esempio per gli sportivi, per i quali l’efficienza metabolica di un microbiota equilibrato può essere un valido aiuto sia nel mantenimento della salute che nell’incremento della performance atletica.


CICORIA E SCAROLA (alla scoperta dei cibi preziosi per il nostro microbiota intestinale #4)

La cicoria e la scarola sono probabilmente originarie dell’area mediterranea, e venivano utilizzate come piante officinali soprattutto dai Greci e dai Romani.

La cicoria selvatica è molto amara e i suoi corti steli sostengono foglie verdi con il margine dentellato che ricorda il tarassaco, e quando è giovane e tenera si mangia in insalata.

La cicoria riccia si consuma soprattutto in insalata; le sue foglie verdi, molto dentellate, strette ed appuntite raccolte a rosetta, presentano nervature biancastre o rossastre e sono discretamente amare.

La scarola, che forma cespi meno voluminosi, ha foglie larghe meno arricciate e meno amare di quelle della cicoria (le foglie interne, più chiare, sono le meno amare).

Occorre scegliere cespi di cicoria e scarola con il cuore bianco circondato da foglie fresche, lucide, croccanti, bene arricciate e di colore verde brillante. Vanno lavate rapidamente in abbondante acqua corrente, senza lasciarle a bagno, per evitare che le foglie si affloscino. Per conservarle occorre asciugarle bene e riporle in frigorifero in un sacchetto di plastica bucherellato (in questo modo si possono mantenere per una settimana); non vanno conservate in contenitori a chiusura ermetica, altrimenti appassiscono (in questo caso possono rinvenire se immerse in acqua ghiacciata).

Cicoria e scarola si possono consumare sia crude che cotte (come anche la lattuga o gli spinaci). Sono eccellenti fonti di acido folico e potassio, ed hanno proprietà depurative e diuretiche. Contengono inulina, ottima fibra prebiotica per il nostro microbiota intestinale (compreso il caffè di cicoria).


LO SCALOGNO (alla scoperta dei cibi preziosi per il nostro microbiota intestinale #3)

Lo scalogno è probabilmente originario del vicino Oriente, ed era molto apprezzato dai Greci e dai Romani; questi ultimi lo consideravano afrodisiaco. E’ molto apprezzato in Francia, dove vengono coltivate alcune varietà molto pregiate.

Lo scalogno ha un sapore più fine e aromatico della cipolla, e meno acre dell’aglio, infatti rispetto ad essi ha un minor impatto sull’alito.

Ne esistono diverse varietà, le più comuni delle quali sono:

  • lo scalogno grigio (scalogno comune), piccolo e di forma allungata, con la buccia grigia e la testa violacea, dalla polpa soda e piccante;
  • lo scalogno di Jersey, con il bulbo corto e rigonfio, la buccia rosacea e la polpa venata e meno piccante:
  • lo scalogno coscia di pollo, con il bulbo allungato e la buccia dorata come quella della cipolla.

E’ opportuno acquistare scalogni sodi con la buccia secca, scartando quelli germogliati, molli, o con la buccia macchiata. Si conserva circa un mese in ambiente buio, fresco, asciutto e ventilato; in frigorifero si mantiene un paio di settimane. Una volta tagliato, si conserva in frigorifero in un contenitore, ricoperto con olio di oliva che ne assorbirà il sapore e potrà essere usato per cucinare.

Lo scalogno si consuma cotto o crudo, ed è prevalentemente utilizzato come aroma, per conferire un tocco raffinato alle pietanze. E’ un ingrediente essenziale di molte salse, specialmente la bernese, la Bercy, o quella al vino rosso. Accompagna le insalate, il pesce, e le carni cotte alla griglia o in padella. Dà sapore alle minestre, alla vinaigrette, alle verdure. Gli steli verdi sono saporiti e in primavera possono essere utilizzati come l’erba cipollina, i bulbilli possono essere utilizzati per aromatizzare l’olio o l’aceto. Se si fa rosolare in olio, non dovrà mai brunire, altrimenti diventa amaro; dopo la cottura risulta più digeribile della cipolla.

Lo scalogno è mineralizzante, stimolante, e prebiotico per il microbiota intestinale.


IL PORRO (alla scoperta dei cibi preziosi per il nostro microbiota intestinale #2)

Il porro è conosciuto dall’antichità: originario probabilmente dell’Asia Centrale, è citato nella Bibbia ed era coltivato dagli Egizi. I Romani lo diffusero in Britannia, dove era molto apprezzato dai Celti. Oggi il porro è l’ortaggio nazionale gallese: si narra che una battaglia fu vinta grazie al fatto che i soldati coprirono i propri elmi con foglie di porro per distinguere i propri alleati dai nemici.

Il porro ha un sapore più delicato e dolce di quello della cipolla. La parte sotterranea, costituita da foglie inguainanti di forma cilindrica, è la parte bianca e tenera del porro, la più apprezzata e spesso l’unica ad essere consumata, poiché conferisce ai piatti un tocco leggero senza alterarne il sapore. Le foglie verdi, tagliate alla base del punto in cui si allargano, si utilizzano soprattutto per aromatizzare zuppe, brodi, e piatti di lenta cottura. E’ consigliabile acquistare porri dritti, sodi, intatti, senza macchie scure e con le foglie verde brillante. Meglio quindi scartare porri molli, con la base spaccata o rigonfia e con le foglie secche e scolorite.

Il porro si mangia sia crudo che cotto. Crudo, tritato finemente, viene spesso aggiunto alle insalate, in sostituzione o in abbinamento alla cipolla. In Europa è soprannominato “l’asparago dei poveri”, e viene cucinato alla stessa maniera degli asparagi. E’ eccellente in vinaigrette, alla panna, e con le patate. Porri e patate si possono peraltro combinare in una deliziosa zuppa che in Francia prende il nome di Vichyssoise. Il porro può sostituire l’indivia nelle ricette al gratin. Le sue foglie aromatizzano il brodo, i piatti in umido, e possono sostituire l’erba cipollina e lo scalogno. Si accompagna molto bene con la carne di vitello, il prosciutto e il formaggio; si abbina bene con limone, basilico, salvia, timo, senape. Il bianco del porro tagliato alla julienne o a rondelle aromatizza il brodo di pesce e i fondi di cottura.

E’ necessario pulire con cura il porro, per eliminare la terra che si annida tra le sue foglie; quindi occorre eliminare la parte radicale filamentosa e la parte apicale delle foglie, lasciando un po’ di verde a piacere, e asportare le foglie esterne se non sono fresche e intatte. Poi va praticata qualche incisione in senso longitudinale fino a 2-3 cm dalla base, vanno aperte le foglie e lavate sotto acqua corrente, scolando poi bene. I porri vanno cotti in tempi brevi, poiché una cottura eccessiva li rende molli e pastosi. Tempi di cottura: 15-20 minuti se bolliti interi o spaccati, 25-35 minuti se si cuociono al forno. I porri tritati richiedono 20-25 minuti di cottura per appassire e 3-5 minuti per rosolare.

Il porro si conserva in frigorifero per un paio di settimane, oppure non lavato in ambiente fresco per più tempo. Una volta cotto, è consigliabile consumarlo entro 24 ore. Può essere congelato, ma perde consistenza e sapore. Il porro crudo è un’eccellente fonte di acido folico, una buona fonte di ferro e potassio, e contiene vitamina C, vitamina B6, magnesio, rame, calcio. Gli si riconoscono proprietà antisettiche, diuretiche, depurative, oltre ad essere un ottimo prebiotico per il nostro microbiota intestinale.

 


IL TOPINAMBUR (alla scoperta dei cibi preziosi per il nostro microbiota intestinale #1)

Il topinambur è un tubero originario del Nord America, dove veniva coltivato dagli Indios che abitavano nel territorio corrispondente oggi al New England. L’esploratore francese Samuel de Champlain lo introdusse in Francia e gli diede il nome Topinambur, ispirandosi ad un nome esotico di origine brasiliana per invogliarne l’acquisto. Durante la seconda guerra mondiale si fece largo uso di questo ortaggio, considerato insieme alle patate un cibo per poveri. La pianta è molto alta, tra i 2 e i 4 metri, ed in alcune regioni (come in Medio Oriente e nel sud degli Stati Uniti) viene utilizzata come pianta decorativa per delimitare i confini dei terreni, poiché cresce facilmente ed è molto resistente.

Il tubero somiglia allo zenzero, essendo provvisto di molte protuberanze, la sua polpa è color crema, croccante, zuccherina ma dal sapore delicato che migliora nel tempo, ricoperta da una buccia sottile e commestibile di colore beige o anche rossiccio-violetta a seconda del suolo in cui viene coltivato. E’ consigliabile acquistare esemplari piccoli e sodi, con la buccia integra, evitando quelli con germogli. Si conserva fino a due settimane in frigorifero, chiuso in un sacchetto di plastica bucherellato con un foglio di carta assorbente, senza prima lavarlo. Evitare di congelarlo, poiché la polpa perde consistenza.

I topinambur si pelano con difficoltà, per cui si possono accuratamente spazzolare e poi cuocere con la buccia; si potranno poi eventualmente sbucciare dopo la cottura prima che raffreddino. E’ consigliabile controllare bene la cottura, poiché tendono rapidamente a trasformare la propria polpa in una poltiglia: 30-45 minuti (a seconda delle dimensioni) se cotti interi al forno, 10-15 minuti al vapore, 8-12 minuti bolliti, 5-7 minuti saltati in padella. Si possono mangiare crudi, cotti, marinati, in purea, al gratin. Si possono utilizzare crudi nelle insalate o come antipasto (per evitare che anneriscano una volta tagliati, irrorarli con acqua e aceto o limone). Si possono aggiungere a risotti, minestre, frittate. Se essiccati, se ne ricava una farina molto nutriente.

Se mangiato soprattutto crudo, il topinambur fornisce una buona quantità di micronutrienti (potassio, ferro, tiamina, niacina, fosforo, rame, magnesio, acido folico, acido pantotenico). Rappresenta comunque una fonte molto importante di inulina, fibra prebiotica per eccellenza, che nutre i batteri intestinali utili alla salute. Un utile accorgimento è abituarsi gradatamente al suo consumo, iniziando con piccole quantità, poiché soprattutto in alcuni soggetti potrebbe provocare gonfiore addominale e flatulenza.